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Negra silueta
de fines maneras
paleta de suenos
pinceladas multicolor:
Gentileza de artista
que con manos habilidosas
nos trasmite
imàgenes del alma
ispirados reflejos
brillantes àngulos oscuros
trazos de sinuosas lineas
en contorno metafisico
de genio creador.
Original
plasmador de ideas
arquitecto de sensaciones
que nos arrastran
al onirico mundo de la vida
entre fantasias de color.
                  
M.Victoria

Pittosculture o scultopitture? Onirismi o astralismi? Installazioni o provocazioni?
Poco importa, alla fine, in sede di giudizio sulle opere di Giuseppe Cardella, intestardirsi a decriptare - come preliminare d’intesa - un dilemma perimetrale rivelantesi più questione di lana caprina che dubbio amletico, dal momento che lo stesso artista non vi si sofferma (per sua e nostra fortuna) più di tanto, preoccupato soprattutto di dare sostanza e spessore di fruizione ai suoi inconsueti esiti creativi piuttosto che delimitarne le apparenze - antico vizio di creatori e critici vecchia maniera - con inquadrature precostituite che potrebbero rivelarsi, di fatto, involontariamente limitative o ingannevoli.Sta di fatto, invece, che l’affabulante originalità del proporsi di Giuseppe Cardella fornisce all’estimatore ed allo studioso abbondante materia di cogitazione più sui segni dell’Arte che sugli indicatori direzionali, laddove anche il primo impatto con la sua ampia, informale e proteiforme produzione chiama a raccolta adunate di pause silenti come le sequenze materiche ri / create in coniugazione di equilibri tra apparenti staticità strutturali ed inarrestabili  gorgoglìi di dinamismi interni.Insufflando sulle tele aritmie pulsanti e controspinte di compostezza, Cardella ricontestualizza (e nei confronti di armature espositive appena in grado di arginare ogni dinamismo di sussulto sottostante alla superficie dell’esprimersi) avvicendamenti, concatenazioni e fibrillazioni di flussi / riflussi  interiori, catapultandone i tasselli dal profondo della coscienza a sempre nuove, diverse, fascinose stratigrafie ed orografie; e da questo divenire formale e compositivo - immediato e complesso al tempo - va a ricavare, con icastica sistematicità, scaturigini preziose già per il loro stesso manifestarsi, e cioè ancor prima che la decorazione pittorica vada ad intervenire, con tocchi precisi e razionali commistioni, al fine del perfezionamento tonale e cromatico: operazione sicuramente fruttuosa, quest’ultima, dal punto di vista d’una definizione meramente estetica, ma che, a nostro parere, potrebbe anche non rendersi indispensabile, in termini di efficacia d’impatto,  a fronte della già compiuta e polivalente  ri / creazione dell’impianto multidimensionale (ancorchè monocroma: ma forse sta proprio qui, ed a Cardella lo abbiamo segnalato, l’ideale tragitto evolutivo di una sua maturazione artistica)  Produzione visuale e tattile, quindi, quella di Giuseppe Cardella; abilitata cioè per sua natura, in altre parole, a stimolare la mente tramite un composito feedback percettivo che parte dall’atto fisico del vedere e perviene al profondo dell’io attraverso l’ulteriore fisicità di un "tangere" determinato ed imposto dall’irresistibile, catalizzante attrazione delle mani verso i dossi, le valli, le alture, le profondità di una tela / non - tela riuscita a catturare ed a materializzare attimi fuggenti tra i dedali dell’inconscio e che potrebbe anche, con eguale e inquietante fulmineità, compiere tragitti inversi, prestidigitando trasmutazioni nello spazio d’un battere di ciglia: come un paesaggio di dune plasmato dal vento del deserto, metamorfosi di apparenze e di miraggi.

Nuccio Mula
scrittore - critico d'arte
docente di teoria della percezione
e di piscologiadella forma

 


GIUSEPPE CARDELLA

Che sia tempo di accesa sensibilità comunicativa, di segnazioni neoplasmi irrazionali, lo dimostra Giuseppe Cardella, operatore di quelle che chiamiamo arti visive, e impegnato in ricerche impervie ma suggestive, intorno alla superficie dell’opera dipinta. I mezzi e gli strumenti e i soggetti e gli oggetti dell’espressione, più che della espressività, in questo nostro tempo si sono moltiplicati a dismisura. Sicchè, a buona ragione, Cardella, come i meno conformisti espressori moderni, non è più prigioniero di formule stilistiche obsolete, viste e digerite in un trentennio di "experimenta" che durano lo spazio di un mattino, ma ha, cioè, sente il diritto-dovere morale di cercare una novità linguistica propria, in un ambito astratto ma avulso da paternità putative o storicizzate. Col periodo dei plasticismi cromatici, sorta di bassorilievi modulati dal colore e modulanti una geografia onirica. Libera da parvenze iconologiche, Cardella s’inventa una libertà, a mò di specchio concavo e convesso della realtà fenomenica del mondo, anzi, dell’universo. Con questa periodazione, Giuseppe Cardella cogli l’essenza emergente della propria tensione istintiva, ne definisce in maniera la più informale, il rapporto (e gli equilibri estetici, difficilissimi) forma-colore-segno. Operatore, prima ancora che artista (la differenza è nella programmazione della creatività), Cardella si è consentito una lunga confittualità con la forma, ha inteso persino rifiutare modelli illustri della pittura materiale, pur avendo i mezzi fattuali per seguirne le mosse. Si sa: il pericolo a cui sono esposti molti artisti contemporanei è quello della provvisorietà della ricerca o della provvisoria definizione del proprio linguaggio: Giuseppe Cardella, nei suoi viaggi verso planetari onirici, ha una bussola che lo orienti in queste geo-grafie della psiche, in queste storie dell’immaginario plastico? Egli sa che dai pianori tessutali della tela, una volta impregnata nobilmente di pigmenti, come nel Cinque e Sei e Sette e Ottocento, ma pur sempre intelaiate nel piano narrativo e limitante della cornice, forse è la prima volta, dopo il taglio e la perforazione di un certo Lucio Fontana, che la superficie pittorica riceve siffatti tellurismi, la sollevano e l’acconcano in una sommovimentazione che – più del sogno cardelliano – pare essere comandata da indotte pulsazioni creazionali, tali da indurre l’artista in tentazione: quella di ricercare in sedicesimo l’orografia del mondo. E questo perché con l’azione sculturale (molto più complessa di quella pittorica), ancora più evidente è il problema dell’unicità, della rescissione del cordone ombelicale col già visto, con le esperienze pregresse proprie e degli altri, vissute o attraversate. Giuseppe Cardella cerca di aprire un discorso intorno alla strutturalità, cioè alla gestione della materia, cioè alla tecnica, ponendosil’interrogativo – tipicamente filogico – della unicità, non tanto sul come fare ma sul con che cosa fare arte. Parafrasando Macchiavelli, anzi capovolgendone il pensiero, Cardella vuole che nei suoi composti, sia il mezzo a giustificare il fine. Soprattutto se questo è raggiunto calando energeia gestuale, forza primaria all’interno dei plasticismi, facendo cougulare i pigmenti lungo gli anfratti di un superficie che non solo contenga le forme, ma le sviluppi con stranienti movenze. Oniriche, appunto.
                                                                                                                                                              Donat Conenna


Il mondo onirico di Giuseppe Cardella è presente in tutte le sue opere. Le tele hanno un denominatore comune: la facoltà di far sognare il proprio mondo, secondo la cultura, lo stato d’animo, l’essere. Ammirare le opere di Cardella è come viaggiare senza mai pervenire ad una meta, nella galassia di uno sconfinato universo.
La manipolazione della tela con l’acrilico e i colori primari pongono l’artista a metà strada tra la pittura e la scultura Le sue opere oggi sono attuali..
Lo saranno anche in futuro. Cardella è un talento creativo che ci spinge di forza nella storia infinita del cosmo.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Enzo Minio  
                                                                                                                                  
 giornalista


TUTTO IL MONDO É SICILIA PER UN POETA E UN PITTORE?

"Tutto il mondo é paese," recita un luogo comune. Meno comune del solito, a leggere "COLORI, FORME E POESIE," volumetto di Saro Marretta, illustrato da Giuseppe Cardella"e pubblicato con il concorso del Comune della loro Ribera, località tra il magico e il reale nella provincia di Agrigento. Poche strofe e poche pennellate che aprono l’universo accennato dalle piccole cose.

Piccole non più di tanto, se hanno ispirato a suo tempo la lirica di addirittura un Pascoli, italiano antiretorico tra i più eloquenti di quelli che non hanno bisogno di autoipnotizzarsi per sentire l’assoluto nella quotidianità.

Marretta incentra i suoi schietti versi sciolti sulla terra che lo ha messo alla luce. Residente da quasi una vita nella svizzero-tedesca Berna –alle mille miglia più che geografiche dalla sua Sicilia soleggiata— si porta dentro il Mediterraneo tra picchi e vallate che riecheggiano una lingua non sua. Fa l’impressione di una nostalgia oltre l’aneddoto impastato di infanzia e prima giovinezza. Di una vicenda al di la di meridiani e paralleli perché appartenente all’uomo nudo e crudo, quando se ne tirano le somme. Paticolarismo in superficie, cosmopolitismo in fondo.

Analoga ambivalenza suscita l’arte di Cardella a prima giunta. Pulsioni che si allacciano senza forzature al mondo oggettivo. L’osservatore si sente portato a riflessioni sull’essenza della realtà distillata nelle tinte recise e armoniose delle immagini. Di pari passo, si lascia andare alla piacevolezza di una visione che fa a meno di esegesi sulla ragione di essere dell’arte. Può darsi che non vi trovi ragioni di essere. Ma che essere, in questo caso, vale la pena.

Ci si ritrova, dunque, davanti a un fatto prettamente italiano quando si sfoglia il libro. Italianità semmai più palese a chi, in espatrio, può prenderne le distanze e metterla in prospettiva. É la spia di quel trimillenario equilibrio nostrano tra visibile e invisibile, cerebrale e istintuale, estetico e utilitario talvolta invidiato da anglosassoni, teutoni, slavi, più propensi a sbilanciamenti e incubi malgrado la loro socialità più organizzata. Proprio per questo, forse.

Forma e sostanza, pensiero ed emozione, volontà e sentimento convivono con dinamismo senza azzannarsi nella cultura più rappresentativa del Belpaese. Tensione dialettica senza strappi. Tutta é realtà, vita, a conti fatti. Sarebbe una frana, qualora se ne scindessero le contraddizioni apparenti. "Chi ce lo fa fare?," sembrano domandarsi Marretta e Cardella. Infatti, chi?

                                                                                                                                                         ROMANO MARTINELLI