Acquatinta

Varietà dell’incisione in metallo, la più adatta alla stampa colorata, ma di tecnica assai complessa; per lo più usata come ausiliare dell’acquaforte. La si ottiene in due modi: applicando direttamente col pennello, sul metallo nudo, I’acido, delimitandone il campo d’azione con vernici resistenti alla morsura, oppure per mezzo di speciali preparazioni dette grane. Queste consistono nel cospargere la lastra di granellini di varia materia (dal bitume alla sabbia), in modo che I’acido intacchi soltanto gli interstizi tra di essi. Fatta una prima morsura, si ricoprono di vernice resistente le parti del disegno già sufficientemente corrose, si toglie dalle altre la prima grana, e la si sostituisce con una più fine, in modo che la successiva morsura intacchi più numerosi interstizi. Si possono sovrapporre in questo modo più grane ottenendo una ricca gamma di corrosioni che nella stampa si muterà in gradazione di chiari e di scuri, rendendo l’incisione efficacissima nella resa di più delicati trapassi luminosi, simile nell’aspetto all’acquerello. Il procedimento, nato nella seconda metà del Settecento in Francia ad opera di J. B. Leprince (non é escluso però che fosse stato usato come complemento dell’acquaforte in Olanda dai Van de Velde già un secolo prima) raggiunse il periodo di massimo splendore alla fine del Settecento in Francia e si diffuse anche in Inghilterra: in Italia uno dei più abili maestri fu F. Bartolozzi. L’acquatinta caduta in disuso nell’800, torna ora talvolta a comparire particolarmente in Inghilterra dove, dal sec. XVII in avanti, é vivo il gusto della stampa basata sui valori luministici.